Interviste ad Anita Fiaschetti (giornalista) e Ilaria Lagioia (fotografa)

In questi caldi mesi estivi appena trascorsi, abbiamo iniziato due collaborazioni particolarmente interessanti per la nostra associazione.

Sono due realtà molto diverse tra loro ma assolutamente complementari. Due realtà che ci offriranno la grande opportunità di parlare di Lisclea e dei suoi progetti, e la grande opportunità di raccontarla, di divulgarla, di arricchirla.

I primi incontri avvengono spesso nei bar. I primi incontri sono sempre preceduti da colloqui telefonici diventati poi incontri online, per approdare all’incontro in presenza. In realtà quando questo accade si ha già la sensazione di conoscere un po’ il tuo interlocutore.

Ma la presenza fisica, gli sguardi, il temperamento, i profumi, la gestualità, sono i dettagli che fanno la differenza. Che danno il sapore e offrono la curiosità.

Cosi in un pomeriggio romano abbiamo avuto il piacere di incontrare la dottoressa Anita Fiaschetti: erano anni che giravamo come farfalle attorno alla ricerca di un ufficio stampa quando incontrammo Anita.

Ma delegare un lavoro per una associazione di malati rari non è certo come avere un ufficio stampa per farsi pubblicità per un prodotto, un libro. Per delegare il racconto e la storia di una malattia, ci vogliono persone resistenti, determinate, che sappiano ascoltare, guardare, oltre le parole.

Ora delegare la storia di una malattia rara è ancora più complessa da raccontare, in quanto tratta una parte cosi intima come lo è l’area genitale, e sappiamo che richiede anche di più dell’attenzione e dell’ascolto.

Richiede coraggio e una sensibilità speciale che possa essere in grado di decodificare i nostri timori, le paure, le emozioni, i sensi di solitudine. E poi successivamente richiede di potere prendere queste caratteristiche ed essere capaci di dare corpo alla parola o all’immagine. In questo caso il destino ci ha offerto sia la parola con Anita, sia l’immagine con Ilaria.

Nei mesi passati e nei mesi a venire sia Anita che Ilaria, hanno già iniziato a prendere, e prenderanno ancora, Lisclea “tra le loro braccia”, in qualche modo. Ed osserveranno questa creatura per capirne i contorni, i misteri, il messaggio.

Cosi una notte un po’ insonne, felice di questo mondo in movimento attorno alla nostra piccola ma determinata associazione, ci siamo chiesti: “ma perché si sono offerte e perché hanno accettato questo lavoro? Quale è stato l’elemento che più le ha colpite nel voler approfondire una malattia cosi scomoda e ancora sconosciuta? E quale è stato il “”detonatore “che le ha incuriosite? Come vedono, ambedue, ossia due donne giovani e sane, il mondo cosi singolare e complicato di un paziente affetto da una malattia cronica, e per giunta così difficile da spiegare?
E cosi nel volervele presentare ci è venuto in mente di “intervistare l’intervistatore” e di ascoltare direttamente le loro testimonianze.

ANITA FIASCHETTI

Eravamo in un bar ad attenderla…
Vedere arrivare Anita in lontananza ci ha subito dato una sensazione di sicurezza.

Aveva il passo deciso e l’aria di chi sa come sistemare le caselle del proprio lavoro; un sorriso gioioso e sincero di chi ben si dispone ad accogliere le più disparate istanze. Ma dopo un po’ abbiamo capito che il suo punto di forza in realtà era la sua capacità di ascoltare, in modo profondo ed attento e con deduzioni logiche, ma anche intuitive, e capire quali fossero le strade più percorribili per riuscire a muoversi con destrezza.

In poco tempo Anita sembrava aver intuito ciò che era sotto gli occhi di tutti, il visibile, e ciò che invece era più nascosto, l’invisibile, tanto da inviarci subito dopo l’incontro una mail in cui suggeriva le tappe da percorrere per divulgare sempre più la conoscenza della nostra malattia in modo serio e preciso.

Ed ora Anita chiediamo a te di raccontarci, sapendo che ti occupi di giornalismo intorno al mondo della sanità, perché hai accettato questa “sfida” e soprattutto cosa ti ha colpito, quali corde ha toccato in te questo lichen sclerosus, per decidere di offrire il tuo supporto?

“Da anni mi occupo di ufficio stampa e giornalismo nell’ambito della salute. Se dovessi descrivere i miei lavori forse l’ironica frase “mai una gioia” sarebbe perfetta. Al di là delle battute, occuparmi di realtà poco note, come Lisclea, è per me motivante.

Ho sempre pensato che le piccole cause, seppur difficili, sono quelle che riescono a regalarti grandi emozioni. Dare voce a Lisclea: è questa la miccia che si è accesa quando ho incontrato Muriel.

Dalla tua forza, dal tuo coraggio e dalla voglia che voi tutti avete di farvi conoscere, traggo il mio entusiasmo. Voi non siete la vostra malattia, il lichen è un ‘compagno scomodò ma la vostra identità e la vostra dignità restano le stesse e spero che attraverso le mie parole possano arrivare a più persone possibili.

Il nostro cammino insieme è appena iniziato, io non posso che ringraziarvi per la fiducia accordatami. Farò di tutto affinché in futuro possiate essere meno rari e più conosciuti.”

ILARIA LAGIOIA

Un altro giorno, un altro bar…
Abbiamo incontrato Ilaria a fine agosto, lei è arrivata con piglio deciso e determinato; abbronzata come un biscotto, ci ha subito colpiti.

Lei è una fotografa, anche se inizia la sua carriera come architetto, e questa “formazione” si sente: usa l’immagine di cui ama ‘ammorbidire’ o ‘indurirne’ i contorni, a seconda delle necessità, per far emergere le emozioni più profonde.

Ha pubblicato un libro fotografico nel periodo del covid che mi ha colpito particolarmente per la forza che le immagini suggeriscono.
Se Anita racconterà di noi con le parole, con la scienza, con le testimonianze derivate dalle sue interviste, Ilaria “parlerà” di noi attraverso la forza delle immagini.

Potrebbe sembrare un compito non semplice usare lo strumento fotografico, mettere nero su bianco (ma nemmeno a colori!) la nostra malattia, vista l’ovvia impossibilità di usare la crudezza di immagini come vulve e peni atrofizzati, ammalati, sensibilizzati, tuttavia Ilaria sa come mostrarla agli occhi del mondo e a noi stessi con attenzione, sensibilità e l’uso appropriato di immagini simboliche.

Ed ora Ilaria, ti facciamo la stessa domanda che abbiamo rivolto ad Anita: perché il lichen sclerosus, perché Lisclea? E’ una malattia imbarazzante, difficile da argomentare, come ti è venuto in mente di raccontarla attraverso delle immagini?

Sono qui al pc a leggere e rileggere le vostre parole, a sorridere e riflettere con esse. Mi scuso già da ora con chi leggerà, ahimè ho scelto le immagini per raccontare e non le parole.

Ci tengo a scrivere qualcosa su di me prima di rispondere alla vostra domanda. E’ per me un po’ complicato ma doveroso. Ho scelto di essere una fotografa perché per me un’immagine può fare la differenza, anche in un’epoca in cui siamo costantemente bombardati da schermi e carta stampata. Il cervello osserva e immagazzina milioni di immagini durante una giornata e anche se si può pensare di essere assuefatti o di “aver già visto tutto” un’immagine ci può colpire e fare la differenza in ogni caso. Quando si pensa ad una fotografia, come quando si pensa ad un libro o ad un articolo di giornale, si deve sempre tener conto che è una rielaborazione delle conoscenze del proprio autore, c’è la sua interpretazione, il suo punto di vista.

La bellezza della fotografia non è solo nella possibilità di realizzare uno scatto compiacente a dei canoni estetici, anzi, la sua bellezza è la capacità di raccontare momenti, stati d’animo, desideri, personalità, ambienti, sempre diversi in base alla persona che lo racconta. La bellezza della fotografia è che ti dà la possibilità di confrontarti con qualcosa sempre diverso ma soprattutto inaspettato, ti da la possibilità di conoscere e di far conoscere agli altri.

Sin da piccola sono sempre stata attratta dalle immagini ma soprattutto sono sempre stata molto curiosa. Inoltre, ho sempre pensato che la collaborazione e l’unione possano fare la differenza, che ascoltare gli altri e farsi ascoltare sia un piacere e un dovere per tutti e la fotografia riesce ad unire perfettamente tutte queste caratteristiche. Ecco perchè quando ho sentito parlare di Lisclea e del lichen per la prima volta, ciò che ho pensato è stato che questa storia andava assolutamente raccontata, come non lo sapevo, ma era necessario.
Mi sono imbattuta nel lichen e in Lisclea quasi per caso, parlandone con un caro amico che ha conosciuto la patologia e l’associazione tramite il suo lavoro. Incuriosita dai suoi racconti da cui trapelavano chiaramente tutte le difficoltà e la sofferenza che un paziente di lichen deve sopportare, ho iniziato a fare subito ricerche e poco dopo ho conosciuto Muriel e il direttivo di questa incredibile associazione.
Sentire le storie ti fa rendere conto di cosa realmente c’è dietro la malattia, che non è fatta solo di dolore, ma di diagnosi sbagliate, di considerazioni inopportune, di interventi, di imbarazzo, di incomunicabilità, di impotenza ma anche e soprattutto di solitudine. L’unica soluzione a tutto ciò è fare gruppo, e i componenti di Lisclea l’hanno capito e cercano, in misure e modi diversi, di dare il proprio contributo. I membri di Lisclea hanno dovuto non solo imparare a capire il proprio corpo che cambia e che soffre imparando a prendersene cura nel modo migliore per loro, ma hanno dovuto fare rete, informarsi per informare a propria volta i nuovi malati ma soprattutto i dottori.
La scelta di raccontare la malattia e l’associazione non è stata una scelta ponderata o studiata, tutt’altro! la sera stessa che ne ho sentito parlare per la prima volta, mi sono seduta al computer e ho iniziato a fare le prime ricerche, è stato istintivo e in qualche modo per me necessario.
Ciò che nel mio piccolo posso fare è raccontare questa realtà, a me sconosciuta fino a qualche mese fa, fatta di storie di vita vere, di malattia, di dolore a chi ha voglia di ascoltare e condividere, vorrei che il mio progetto fotografico possa essere megafono pensante per i bisogni reali di qualcun altro.

grazie ❤️ E spero di aver dato risposta alle vostre domande.”

 

 

In realtà questo articolo ci permette anche di raccontarvi e rendervi partecipe attorno a due progetti a cui teniamo molto. E di raccontarvi chi si trova dietro “penne e apparecchi fotografici”.

Ma come avrete capito non vi abbiamo svelato nulla di preciso perché lo scoprirete poco a poco e che ci piacciono le sorprese.

Oltretutto scoprirete molto presto (e ve lo racconteremo come adesso) un altro progetto particolarmente importante su cui stiamo lavorando, sempre riferito alla divulgazione e all’informazione.

Un grosso lavoro che però ci dara voce e volti per farci sentire e farci capire in questo oceano di difficoltà di cui sono fatte le malattie rare e croniche. E senza dimenticare mai quanto possano essere ricche anche di esperienze e soprattutto di speranze!