Questo convegno è stato davvero molto interessante. Ginecologi e dermatologi si sono confrontati su anatomia e patologia vulvare che per gli organi interessati sono di competenza ginecologica, ma diventano di competenza dermatologica per le malattie che spesso si presentano.

E’ necessario che le due specialità se ne occupino collaborando in consulenza tra loro. Prima di parlare delle patologie vulvari (tra cui il Lichen Sclerosus) ci sono stati interventi sull’anatomia e la fisiologia della vulva, sul microbiota vulvovaginale, sull’istologia del distretto vulvare e sulle terapie più idonee.

Prima di soffermarci sul Lichen Sclerosus, riassumiamo brevemente: È molto interessante comprendere che gli apparati vulvari e vaginale/uterino si differenziano già dalla settima settimana della vita intrauterina e derivano da foglietti embrionali differenti, due gemme embriogenetiche completamente differenti.

L’epitelio vulvare ha rapporti di vicinanza con quello vaginale, ma non ha nulla a che fare con esso. Quello vaginale più superficiale è estrogeno sensibile ed ha un andamento mensile dettato dagli ormoni, massimo a metà ciclo tende completamente ad esfoliare. In embriologia, nel punto in cui l’epitelio vulvare e quello vaginale si incontrano si viene a creare un rigonfiamento detto ‘tubercolo del Muller, che sarà poi l’imene (che significa proprio linea di confine), spartiacque tra la mucosa vaginale quella vulvare.

La vulva è, per la sua localizzazione, un organo facilmente soggetto a quelli che sono i fenomeni occlusivi. Normalmente presenta una temperatura intorno ai 34 gradi, con un PH di 5,5, ma si è visto che fenomeni occlusivi, come un salvaslip, un indumento sintetico o lo stare troppo a lungo seduti può portare ad un aumento di un grado e mezzo della temperatura e di 0.5 di PH, il che potrebbe andare a determinare quella che è la viralizzazione della flora saprofita vulvare che è una flora a compartecipazione mista, cutanea, uretrale, anale e vaginale.(dott.ssa BARBARA DIONISI Anatomia e fisiologia vulvari)

Nel gennaio 2020 il British Journal dedicò al microbiota una serie di articoli di ben 187 pagine. “Forse non abbiamo considerato abbastanza come determinanti di salute e malattia gli organismi saprofiti, funghi e batteri che letteralmente occupano il nostro spazio corporeo e pesano ben circa 2 kg” Abbiamo tuttavia imparato che ciò che è valido per l’intestino, non è valido per l’ambiente vaginale, l’intestino è sano, cioè in salute quando c’è un’alta biodiversità. La vagina sana invece deve essere abitata da lattobacilli, tanto è vero che è stato possibile dividerli in cinque categorie, tre delle quali rientrano in quadro di normalità mentre le ultime due sono caratterizzate da disbiosi, carenza latto bacillare ed alta biodiversità. Un ambiente latto bacillare è la condizione indispensabile di salute vaginale, questi producono acido lattico, perossido di idrogeno e hanno la capacità di inibire i batteri.

È molto importante intervenire sul microbiota, su alcuni fattori, per esempio quelli etnici, non è possibile, ma su molti altri sì, si può intervenire sull’uso di antibiotici, sul tabagismo, sull’assunzione orale dei corretti lattobacilli. Perché è così importante che la vagina sia colonizzata dai lattobacilli? Perché i lattobacilli inibiscono le metalloproteinasi, enzimi provocati dai batteri che hanno il potere di bucare la cervice.

Il problema, quindi, non è più solo vaginale, ma coinvolge l’endometrio, che normalmente è scarsamente colonizzato, che può cambiare la sua natura e il suo microbiota. Il principale cambiamento del microbiota può avvenire durante la menopausa e post menopausa quando viene meno la spinta estrogenica, aumenta la biodiversità in vagina, che non vuol dire necessariamente disbiosi, ma ci va molto vicina. In uno studio condotto su un piccolo gruppo di donne si evince che nella modificazione della popolazione lattobacillare in uno stato di disbiosi ci sono 25 volte di possibilità in più di avere una atrofia vulvovaginale da acuto a grave. Assumendo il Tibolone si è visto che si riesce ad evitare o ad arginare questi effetti dovuti alla carenza di estrogeni. I ricercatori si sono posti poi la domanda se anche a livello topico funzionava con una terapia con estrogeno topico. La risposta è NI, nel senso che c’è stato un miglioramento della sintomatologia nelle donne che al momento dell’inizio della terapia avevano già una buona flora lattobacillare, concludendo che anche terapie come il laser, per esempio, danno una risposta più significativa se accompagnate dalla presenza di lattobac .

Sulla vulva, invece ci sono pochi lavori pratici, ma molto significativi, in un lavoro piccolo, ma ben fatto, si voleva vedere se utilizzando un detergente a base di lattobacilli, mutasse la flora batterica. Diviso per fasce d’età ed è stato rilevato il microbiota al giorno 14 e al giorno 28. La conclusione è che la flora non è cambiata, dimostrando così che la lavanda ha rispettato l’ambiente.

Un’altra domanda che si sono posti i ricercatori è: il microbiota delle donne con Lichen Sclerosus è diverso dalle donne che hanno la stessa età? La risposta è SI, non tanto come biodiversità ma come specie, ossia sono presenti i propionibatteri. Ma ancora non è chiaro se questo batterio possa essere una causa (o concausa) del Lichen oppure che sia la malattia (dando secchezza e ipercheratosi) a far proliferare questo tipo di batterio che vive bene in un ambiente secco, quindi un effetto e non la causa.

Questi studi, comunque, ci mostrano che anche lo studio sul microbiota è importante perché cambia a seconda dell’organo che stiamo trattando. Dimostra inoltre che la malattia (il Lichen Sclerosus) è sempre affiancata (causa o effetto?) da un’alterazione del microbiota e da una loro aumentata biodiversità. (dott. ROBERTO SENATORI Il microbiota vulvovaginale)

In dermatologia per identificare le malattie della vulva si fa spesso riferimento, per le lesioni elementari, alle ‘macchie’ Che possono essere suddivise in bianche (aree psoriasiche e atrofiche, lichenizzate), rosse (eritemi semplici ed erosivi, edemi e vescicolazioni) o scure.
Purtroppo, si evidenziano spesso zone atrofizzate dovute all’uso scorretto del clobetasolo. Sono un nuovo tipo di atrofia da topico(dott. PIETRO LIPPA Semeiotica e lesioni elementari)L’atrofia vulvovaginalesi è oramai accertato che è una condizione della progressiva diminuzione dell’effetto estrogenico nel tempo comunque si sia formata, i cui sintomi più importanti sono la secchezza vaginale e la rilevazione del PHL a diagnosi si basa su precisi segni rilevati dal medico e sui sintomi che riferisce la donna.

L’atrofia vulvovaginale rientra nella più complessa “Sindrome genito-urinaria”, poiché la carenza di estrogeni non provoca solo secchezza vaginale, ma dà anche problemi a livello vescicale e del pavimento pelvico. Fondamentale è dunque la tempestiva diagnosi e l’immediata terapia sistemica (estrogeni) e locale (estrogeni topici, lubrificanti, idratanti e vasodilatatori).

I lubrificanti non vanno scelti a caso, devono avere un loro PH, una certa concentrazione, modesta, di parabeni che hanno una qualche attività estrogenica e una concentrazione modesta di glicerolo perché la loro maggiore concentrazione può uccidere i lattobacilli. I vasodilatatori locali sono molto importanti perché l’ipossia è alla base del processo infiammatorio che oggi è ritenuto altrettanto importante come la carenza estrogenica, nella genesi della genesi dei segni e dei sintomi. Quindi avere un presidio che permette una vasodilatazione locale è molto utile. Laser CO2: come funziona? attraverso l’applicazione produce collagene che va a modificare il tessuto istologico (quindi si ispessisce), ma a noi interessa la funzionalità. Il laser IAG ha una frequenza d’onda per cui impatta 15 volte di più nell’acqua rispetto al CO2, quindi è meno profonda, agisce come meccanismo di diffusione termica e può vantare il termine di smooth, dolce. Il laser CO2, è modulabile, ha una luce pixellata che permette al medico di raggiungere una profondità voluta, i lavori sull’efficacia sono assodati, ormai da anni, utilissima durante la terapia oncologica, e molto efficace in quanto applicato all’oncologico, le donne erano più giovani rispetto all’applicazione post-menopausa. L’effetto dura mediamente dodici mesi ed è mediamente ben tollerato. Inoltre, ha una valenza non solo estetica, ma di funzionalità ed ‘abitabilità’ della vagina. Le complicanze sono transitorie. (dott. FERRANTI -Istologia del distretto vulvare). In tutti gli organi dei genitali femminile c’è nel tempo una progressiva riduzione del collagene, colorito non roseo e una ipertrofia della muscolatura striata, una riduzione del volume delle grandi labbra dovuto all’involuzione del tessuto fibroadisposo e una riduzione dell’elasticità e della idratazione delle piccole labbra. Per aumentare la capacità riabilitativa dei tessuti trattati si possono usare alcuni farmaci in ELETTROPORAZIONE grazie alla radiofrequenza.

La radiofrequenza è un’onda elettromagnetica che si propaga in uno spazio o in un cavo che è in grado di sviluppare il calore in profondità (40-41 gradi) accelerando il metabolismo tessutale, inducendo una neurocollagenogenesi tramite la stimolazione dei fibroblasti che a loro volta producono acido ialuronico. Questa energia biocompatibile ha due effetti sinergici: innalzamento del potenziale energetico, aumento della temperatura profonda. Il calore generato riattiva la microcircolazione, l’energia erogata stimola la produzione di elastina e collagene. Si può arrivare al massimo a due centimetri di profondità e il riscaldamento è binario fino al muscolo. Attraverso la radiofrequenza, quindi dell’uso di un impulso elettrico che permette di aumentare la permeabilità dei tessuti, si può elettroporare, cioè trasmettere per via transdemica alcuni prodotti, che possono essere allopatici, omeopatici o anche PRP.  2003 studiosi americani hanno vinto il Nobel su uno studio sull’elettroporazione. I vantaggi sono: meno quantità di principio attivo, diminuzione della tossicità, maggiore efficacia dell’assorbimento, maggior concentrazione ed efficacia nelle zone interessate.

Uso dell’elettroporazione in ginecologia: atrofia vulvovaginale, dispareunia profonda, vulvodinia, riabilitazione postpartum, prolasso uro-genitale, ipertono del pavimento pelvico, Lichen Sclerosus vulvare. Controindicazioni: protesi (tipo quelle dell’anca), epilessia, portatrici di pace maker in gravidanza.E’ necessaria un’indagine clinica per valutare il piano con cui procedere, circa le modalità delle singole sedute. Nessun effetto indesiderato è stato segnalato.

Il PRP è entrato di diritto nelle terapie per il Lichen Sclerosus che è una dermatosi muco-cutanea (più cutanea che mucosa, rispetto al Planus che è più mucoso: si tratta di una modificazione cronica del trofismo e dell’epitelio e una forte alterazione del connettivo).Inizia frequentemente nella zona pre-clitoridea e poi intorno alla vulva, talvolta nel perineo, con la classica forma ad otto.Atrofia dell’epidermide, sclerosi del derma, infiltrato infiammatorio con ispessimento dermico per aumento delle fibre collagene (a differenza del Planus, che è subepiteliale, quello dello sclerosus è decisamente più profondo), genesi multifattoriale, con patogenesi autoimmunitaria. Il 60% delle donne con LS ha anche altre patologie autoimmuni come tiroidite di Hashimoto, la sindrome di Sjorgen il Lupus, l’artrite reumatoide, ecc. Questa alterata risposta immunitaria si manifesta con alterazione dei linfociti T e macrofagi in grado di produrre citochine. Su 100 casi di cancro vulvare, rivisitando l esame istologico della vulva, si è visto che c’era un’associazione di LS in circa 50/60% dei casi. Terapia classica: corticosteroidi potenti (clobetazolo), inibitori della calcineurina, retinoidi e PRP ambulatoriale, immunosoppressori, terapia chirurgica, lipostruttura, sedativi, emollienti topici, scelta di detergenti non aggressivi. Gli unguenti sono molto più efficaci delle creme. Effetti collaterali della terapia cortisonica topica. Non bisogna sottovalutare la grave atrofia vulvo-vaginale Bimodale: età pediatrica e giovanile e poi dopo la menopausa. (dott. RICCARDO ROSSI Prp e Radiofrequenza).

Il LICHEN SCLEROSUS è una malattia infiammatoria cronica muco cutanea delle regioni genitali ed extra genitali. È caratterizzata da perdita di elasticità nelle aree colpite causata da un processo di ialinosi (sclerosi) del derma e/o da atrofia dei tessuti epidermici, dermici e vasali. Il LS è caratterizzato clinicamente da aree di sclerosi e indurimento superficiale della cute cicatriziale che formano placche estese sulla cute vulvare. La lesione elementare è una placca di colore bianco avorio spesso osservabile ai bordi delle lesioni più estese. Verosimilmente è una malattia autoimmune in soggetti predisposti. La diffusione maggiore (85-90%) è in area anogenitale, ma si può manifestare anche in area extragenitale (15-20%) e in area perivulvare e perianale (25-35%).

La distribuzione è 8 (donne) a 1 (uomini), e tra le donne simanifesta in età 6-7 anni e poi in post menopausa, ma è abbastanza accertato (medicina dell’evidenza) che è diffuso anche in altre età e che nelle bambine tende a regredire con la pubertà. Ma qual è l’eziologia? Si sa che ci sono fattori genetici (una certa ‘familiarità’), un problema di tipo autoimmunitario e che molto spesso il LS è associato ad altre malattie autoimmunitario (tiroiditi, per es) e a bassi livelli di estrogeni. Caratteristiche cliniche: la malattia evolve in modo progressivo, cominciando nella zona clitoridea, con incappucciamento del clitoride in una evoluzione più o meno lenta che riguarderà la fusione o aderenza degli elementi anatomici vulvari (appiattimento di piccole e grandi labbra e zona forchetta), atrofia ed appiattimento dei rilievi vulvari, restringimento dell’introito. Generalmente il sintomo iniziale è il prurito che l’accompagnerà costantemente nell’arco della giornata.

L’atrofia non è un elemento che caratterizza sempre il LS in alcuni casi, anzi è evidente una ipertrofia che caratterizza l’atrofia. Lesioni tissutali di tipo ragadivo, con vere e proprie ulcere che qualche volta nascondono una evoluzione in ca squamoso, un rischio non molto alto, ma da tenere sempre presente (4-5%). Necessario il follow up.

TERAPIE

CORTISONICA

La terapia è fondamentale perché un

approccio corretto alla malattia e un controllo terapeutico, limita il rischio oncologico. La terapia fondamentale ufficialmente riconosciuta è quella cortisonica. Tuttavia, nonostante le linee guida consigliano il clobetasolo, come terapia d’attacco per due volte al giorno, questo, si è constatato che è quello che dà più problemi, sia di natura allergica che per le frequenti irritazioni locali. Per ogni paziente ne va valutato l’uso, la dose di attacco prevede: una volta al giorno, per un mese, per poi passare a 2/3 applicazioni settimanali di mantenimento per due mesi. Stabilire poi la formulazione (pasta, crema o unguento) è molto importante. L’unguento, per esempio, ha una componente grassa maggiore, e quindi va usato solo su una lesione molto secca, nella paziente giovane può occludere e può aumentare la carica batterica. Va dunque utilizzato il cortisone nella formulazione più adatta alla paziente, modulando il tipo di cortisone in base al tipo di terapia, in base alla lesione, in base alla paziente cercando di raggiungere il minor dosaggio possibile, il cortisone meno potente possibile, ma che abbia chiaramente la capacità di tenere sotto controllo sia la malattia che il sintomo, in quanto il sintomo rappresenta la qualità di vita della paziente

INTRALESIONALE

La terapia intralesionale

con corticosteroidi può essere considerata un’opzione valida nei casi con placche ipertrofiche che possono manifestare maggiore resistenza alla terapia topica.

ANTIBATTERICI ed ANTIMICOTICI

Si possono manifestare casi di sovra infezione batterica dovuta a macerazione o

essudazione, e in questi casi si rendono necessari principi terapeutici come antibatterici e/o antimicotici (Eosina, Genziana).

TERAPIA COADIUVANTE

Prodotti lenitivi

-antinfiammatori (camomilla -calendula -aloe vera -beta glucano -acido glicirretico), idratanti eutrofizzanti (vitamina E), cicatrizzanti (Vitamina A -acido ialuronico) e lubrificanti, possono aiutare la cute a recuperare il suo benessere, si possono utilizzare anche fitoestratti (Shikonina -Ganoderma lucidum) magari nella terapia di mantenimento, che hanno una funzione simil cortisonica, antinfiammatoria senza averne gli effetti collaterali. Va da sé che gli effetti saranno diversi dal cortisone vero e proprio, che può continuare ad essere utilizzato come un ‘ricordo’ una volta alla settimana, perché la pelle ne ricordi il forte input antinfiammatorio.