Non è facile raccontare la nostra malattia ne la percezione che diamo come pazienti o capire ciò che leggono di noi.

Effettivamente si tratta di una difficile lettura visto che apparentemente non si vede nulla di anomalo, ne tanto meno per i pazienti è facile parlarne apertamente.

Così abbiamo proposto al nostro gruppo malati di Lichen Sclerosus se qualcheduno fosse disponibile a raccontare come vede questa patologia ma da esterno e cosa ne pensa .

Ringraziamo dunque Maria* (* nome di fantasia) che ha chiesto la sua opinione a Lorenzo *(nome di fantasia), un suo amico, il quale ci descrive cosa osserva, pensa, vede e ciò che lui ipotizza noi proviamo da malati  .

Grazie per questa meravigliosa testimonianza.

Descrive Lorenzo ;

” Fermo restando che in chi soffre di lichen vedo “una” persona con una determinata patologia, e non “tutte” le persone che ne soffrono; e fermo restando che le impressioni personali lasciano il tempo che trovano, dirò quello che in ultima analisi può emergere in superficie di fronte a una persona con detta patologia. Superficie, si noti bene. È una analisi che non possiede il carattere di verità. Si tratta di parole in libertà.

La persona che soffre di lichen, ammetto, è una persona sfortunata. Essendo una malattia rara, la ricerca non è all’avanguardia e non ha soldi da investire per trovare le cure – quando anche ci fossero.

È vero, ci sono tante altre malattie molto più gravi e più seguite – anche se spesso con scarsi risultati, parecchie volte dovuti proprio alle “cure”.

Il “malato” di lichen è una persona assolutamente normale. La sua patologia non si mostra visibilmente ad altri, che sia in fase acuta o dormiente. Questo porta l’interlocutore a sottovalutare la portata dei fastidi che ha il malato, visto che non li osserva in maniera diretta come in altre patologie. E il malato non li esibisce.

Chi soffre della patologia, certo, è portato a parlarne. Gli sembra inaudito che la scienza non possa trovare cure adeguate. Gli pare di essere abbandonato. E questo è vero, anche perché la ricerca dipende dal profitto. Pochi malati, poco profitto.

Se da una parte è giusto questo atteggiamento di rivolta, dall’altra dovrebbe essere temperato dal fatto che molte malattie più gravi non sono curabili, e la scienza le cura male anche perché pensa prima al profitto economico che alla salute. Proprio per la stessa ragione che la porta a trascurare le malattie rare.

Il malato (ma si può usare questa parola? “Problema” non sarebbe un termine migliore?) vive continuamente anche con la paura che la sua malattia degeneri in qualcosa di peggio. Ma nessuno è immune dal peggio, anche la persona più sana.

Di sicuro il suo timore va ad esacerbare il disturbo, ma non gli si può imputare una colpa di questo. Vive il problema come una ingiustizia. Ma la vita non è “giusta”, e non si può sapere quale sia il margine di giustizia – se questa parola ha senso – in una vita, prima della fine della vita stessa.

L’ossessività con cui a volte il malato parla del suo disturbo, spesso può essere più seria del disturbo stesso. Un male porta con sé altri mali: talvolta potrebbero essere addirittura più incisivi della stessa patologia, e peggiorarla.

La persona che soffre di lichen è in tutto “normale”, e in chi ne è a contatto talvolta genera una lieve insofferenza quando questa parla del suo problema. Ognuno preferisce guardare i mali propri, non quelli degli altri. Solo se si tratta di mali analoghi si può capire.

Achille, quando restituisce il corpo di Ettore – che lui stesso ha ucciso -, di fronte alle lacrime del padre di Ettore piange. Ma non piange per il male di Priamo; piange per i suoi, che quel male gli ha riportato alla mente, e che sono uguali. Piange la morte del cugino Patroclo.

Chi soffre di lichen, infatti, si spende in quattro per chi soffre della stessa cosa, perché sa. Perché ci si ritrova. Farebbe di tutto. È animato da forte volontà, e al tempo stesso da disillusione. È un po’ come gli antichi eroi, che sapevano di essere destinati alla sconfitta.

Una sconfitta non certa, in questo caso, e che non impedisce alla volontà di combattere. La volontà, certo, a volte è proprio quello che impedisce il successo, perché il volere in casi come questi non basta.

Credo però che, come in tutte le evenienze della vita, si possa trovare la propria strada anche seguendo un percorso più intricato riservatoci dal destino.

Chi soffre di lichen deve combattere contro se stesso, il suo stesso organismo gli si rivolta contro. Questo è angosciante, ma credo che esista la possibilità, anche se complessa, di accettare la prova e accettare se stessi. Quello è il primo passo per tornare a vedere non un essere malato, fuori dal mondo e chiuso in sé; ma piuttosto vedere un individuo che accetta la prova, sé e il tutto.

Accettare la prova significa dire sì alla vita, e dire sì al mondo così com’è. Anche il grande insegnamento di Nietzsche consiste in questo. Accettare il mondo significa tornare alla vita. L’individuo è una parte del mondo, e non deve fossilizzarsi in sé stesso.

Il mondo aiuta chi lo guarda con occhio più benevolo di quello di colui che si sente defraudato di qualcosa, e spesso con risultati straordinari. “

(Lorenzo )