
LA NUTRIZIONISTA – Dottoressa Valentina Bordignon
Abbiamo incontrato Valentina Bordignon, biologa e nutrizionista clinica con oltre vent’anni di esperienza in ospedale e una lunga carriera di ricerca alle spalle. Con lei abbiamo parlato del legame tra alimentazione, microbiota e patologie autoimmuni, con un focus particolare sul Lichen Sclerosus.
Dottoressa Bordignon, come è iniziato il suo percorso professionale?
«Ho lavorato ventitré anni in ospedale come biologa e ricercatrice. Quando ho iniziato, circa quindici anni fa, la nutrizione era un tema marginale: all’università eravamo pochissimi studenti e spesso le lezioni si tenevano in aule sparse per Roma. Poi c’è stata un’esplosione d’interesse. I miei primi esperimenti erano in vitro: coltivavo linfociti e fibroblasti a contatto con allergeni alimentari per osservare le reazioni. Già allora avevo notato un legame tra alimenti, sistema immunitario e cellule della pelle».
Quindi l’alimentazione può influenzare direttamente le malattie autoimmuni?
«Assolutamente sì. Quando mangiamo introduciamo sostanze chimiche che non sono solo macronutrienti, ma vere e proprie molecole bioattive. Prendiamo il pomodoro: contiene licopene, che è antiossidante, ma anche solanina, nichel e istamina, tutte sostanze che possono stimolare l’infiammazione. Nelle patologie autoimmuni il sistema immunitario reagisce in modo anomalo, attaccando i propri tessuti: alimenti pro-infiammatori diventano come “benzina sul fuoco”».
Parliamo di Lichen Sclerosus: che ruolo può avere la dieta?
«Il Lichen è una malattia cronica che può colpire pelle e mucose. Non sempre si riesce a spegnere l’infiammazione, ma si può modularla. L’alimentazione è fondamentale per ridurre gli alimenti che favoriscono la flogosi e introdurre invece cibi che aiutano a “raffreddare” il sistema immunitario. Inoltre, agendo sulla dieta, si influenza il microbiota intestinale: possiamo favorire o ridurre la crescita di determinati batteri o lieviti, come la candida, che incidono sullo stato infiammatorio generale».
Uno dei punti che lei sottolinea spesso è la sensibilità al nichel. Perché è così rilevante?
«Il nichel è un metallo molto diffuso nel terreno e quindi negli ortaggi, nei legumi e nei cereali integrali. Esistono forme di sensibilità sistemica al nichel (SNAS) che non emergono nei classici test cutanei. In questi pazienti, il nichel ingerito attraversa la barriera intestinale e scatena una reazione immunitaria. Ecco perché alimenti apparentemente salutari – come legumi o cereali integrali – possono peggiorare i sintomi».
Ci sono quindi alimenti da evitare in modo particolare?
«Parlando in generale, senza sostituirsi a un piano personalizzato, i pilastri di una dieta anti-infiammatoria sono: eliminare glutine, zuccheri semplici, latte e derivati, e le solanacee (pomodoro, patata, peperone, melanzana). Nel Lichen Sclerosus si valutano anche i cibi ricchi di istamina e nichel, modulando caso per caso. Per esempio, le lenticchie decorticate sono spesso più tollerate dei fagioli. Anche le carni bianche come il tacchino risultano più digeribili, mentre alcuni pesci – come tonno, salmone o sgombro – sono più pro-infiammatori».
Qual è il suo approccio con i pazienti?
«Lavoro sempre in modo multidisciplinare e personalizzato. Non guardo solo alla dieta, ma anche al microbiota intestinale e, quando possibile, vaginale, perché entrambi sono indicatori preziosi della salute immunitaria e ginecologica. Per me il paziente non è un “foglio con dei sintomi”, ma una persona da osservare a 360 gradi, considerando alimentazione, stile di vita, stress, predisposizioni genetiche ed epigenetiche. Inoltre, cerco di proporre regimi ciclici: non ha senso togliere glutine o altri alimenti per sempre, ma modulare in base ai periodi di infiammazione».
Oltre all’alimentazione, quali terapie di supporto utilizzate?
«Nel Centro UMED si adottano trattamenti innovativi come la fotodinamica, che ha mostrato risultati interessanti anche nei pazienti con Lichen, soprattutto negli uomini. È una procedura indolore, con effetti sia terapeutici che estetici. Si usano anche metodiche rigenerative che sfruttano cellule staminali adulte per stimolare collagene e rigenerazione tissutale. Tutto questo va sempre inserito in un percorso personalizzato».
In conclusione, qual è il messaggio che vuole lasciare?
«Il cibo è una parte integrante della terapia: non sostituisce i farmaci, ma li affianca e li potenzia. Ogni paziente è diverso e non esiste una dieta valida per tutti. L’obiettivo è ridurre l’infiammazione, migliorare la qualità di vita e restituire alle persone la sensazione di poter avere un ruolo attivo nella propria salute».

